martedì 26 marzo 2013

Il Trionfo del Narcisismo

Mi limito ad esporre in forma schematica, un' ipotesi assolutamente generale, secondo la quale lo spostamento delle patologie verso il polo narcisistico e l'aumento dell'importanza della componente narcisistica nella vita quotidiana, rappresentano una modalità difensiva di fronte alla continua tendenza a rappresentare l'individuo come costantemente insufficiente. 
Questa rappresentazione, proprio per la sua costanza, suona come una prescrizione sociale tanto che il buon individuo è quello che si uniforma ad essa. I messaggi quotidiani che arrivano dall'esterno (dalla televisione e dalla pubblicità ad esempio) definiscono un individuo che non sa, che da solo non ce la farebbe, che per compiti quotidiani banali ha bisogno dell'esperto di un tale o tal altro prodotto o di un qualche genere di consulente (magari globale). Una madre o un padre non saprebbero come fare con il proprio bambino se non ci fosse l'esperto travestito da psichiatra, psicologo o governante di turno a consigliare come trattarlo o addirittura amarlo, come nutrirlo in maniera sana e con quali prodotti. In tale bombardamento di stimoli ci si convince che i problemi quotidiani siano solubili solo con l'aiuto degli altri o con un mezzo esterno. E' sottinteso che tu con la tua testa o con le tue forze non ci arriveresti mai. Messaggio terribile ed omicida perchè l'Io (oggetto d'amore del narcisismo secondario) è proprio quella istanza che, tramite il pensiero, riesce ad escogitare soluzioni adeguate ai problemi interiori ed esterni. Come meravigliarsi quindi che di fronte a questo bombardamento che mina l'autonomia del pensiero, non ci sia una reazione narcisistica adeguata e proporzionale, una tendenza a proteggersi proteggendo proprio quella parte di sé che deve essere amata per sopravvivere come individui? Prima di condannare il narcisismo sfrenato della nostra epoca, come fanno molti nostalgici dei bei tempi andati, converrebbe chiedersi se esso non rappresenti davvero una risposta ad una tendenza culturale e sociale in atto e se, in tal modo, non si vada disegnando il profilo di un essere umano contemporaneo diverso dall'individuo cui eravamo abituati a pensare, sia nelle modalità di soffrire che in quelle di godere. Sembrerebbe una considerazione pessimistica ma per chi è abituato a considerare l'umanità come inesauribilmente complessa e capace di elaborare nuovi strumenti di pensiero, questa potrebbe rappresentare una sfida a pensare l'attualità e il futuro in termini nuovi. La possibilità di considerare in un ottica più ampia la pressione della componente narcisistica sul piano individuale e sociale, potrebbe costituire una chiave strategica per pensare ad una terapia più efficace in campo clinico ed a scelte sul piano politico e sociale mirate ad evitare una difesa narcisistica condizionata da istanze regressive altrimenti insostenibili. (Grazie ad Antonio Alberto Semi)

venerdì 15 marzo 2013

Falsi Laureati e Quasi Laureati: Il Vero e il Falso Sè

Dopo il fenomeno dei falsi laureati, in questi ultimi tempi sta prendendo piede un nuovo modo di accreditarsi un quasi titolo. Molti personaggi pubblici, onorevoli o aspiranti tali hanno deciso di fare outing e dichiarano spontaneamente di non essere laureati ma di aver fatto comunque tutti (o quasi tutti) gli esami del corso di laurea a cui erano iscritti ("mi manca la tesi"). Questa confessione sembra restituire credibilità ed onestà ai comunque laureandi, ma solleva un problema che diversi miei pazienti riferiscono nel corso dei colloqui. Qual è la differenza tra quei pazienti che chiedono aiuto proprio per un problema legato alla mancata conclusione del corso di laurea, fonte di sofferenza e di un senso di fallimento e le persone che utilizzano le stesse circostanze per attribuirsi un quasi titolo che sembra costituire una sorta di compensazione equipollente? La cosa che mi viene in mente su due piedi è che nei primi prevalgono sentimenti che vanno dalla colpa alla vergogna, nei secondi all'opposto un senso di superiorità basato su di un atteggiamento di squalifica, disprezzo ("non mi serve un pezzo di carta"). Rimanendo in superficie sembrerebbe che i secondi siano molto più fortunati dei primi (è spesso così ...) e che, invece di finire "in terapia" a pagare le sedute sentendosi dire dai parenti che devono farcela da soli, riescano (in qualche caso) a procacciarsi un lavoretto niente male (quello di deputato per esempio) e ben retribuito, ammirati ed invidiati per la capacità di farcela nonostante tutto. E' veramente improbabile che questi quasi laureati di successo (ma che hanno fatto quasi o tutti gli esami) difficilmente arrivino a sperimentare qualche difficoltà che poi potrebbe portarli ad una richiesta di aiuto. Sembrano veramente fortunati. Abbiamo anche visto come i falsi laureati (cioè quelli che si attribuiscono una laurea che non hanno mai conseguito) riescano a sopportare discretamente anche il momento in cui vengono "scoperti" con una capacità notevole di minimizzare una cosa che sembra diventare un dettaglio insignificante. D'altra parte c'è da chiedersi quale altro meccanismo potrebbe permettere una sopravvivenza decente nel momento in cui si venga esposti alla pubblica gogna se non un salvifico diniego. Questi smascheramenti sembrano però un monito per i mascherati (cioè i sedicenti laureati non scoperti) e sembrano fattore determinante per questa epidemia di outing ("non sono laureato") che sembra imperversare negli ultimi tempi. Quindi nonostante il diniego e la negazione che ci permettono una mania onnipotente compensatoria (in cui gli elementi depressivi di colpa vengono eliminati) sembra che una certa paura di essere scoperti persista. E la paura di essere scoperti rimanda per assonanza (e neanche tanto) alla paranoia che a volte può alienare ma altre in qualche modo essere salvifica per coloro che fanno troppo affidamento sulle proprie capacità di negazione. Quindi l'outing (chiamiamolo così) sembra determinato da una difesa paranoide che concede al non laureato una via di scampo. All'onnipotenza lasciamo quel pugno di esami che sebbene inutili ci lasciano la possibilità di sopportare una sensazione che sarebbe di solo fallimento. Un senso di fallimento che nella sofferenza potrebbe permettere quella richiesta di aiuto probabile occasione di una vita possibile.






martedì 12 marzo 2013

L'Importanza dei Fattori Mentali

"Quando ci guardiamo intorno e vediamo in che confusione si trova oggi il mondo e quali antagonismi sono scatenati dalle rivalità nazionali, quando ci immaginiamo quali possibilità di guerra, di disastri e di morte possono derivarne e quando ci rendiamo conto che tutto ciò può dipendere dal modo in cui saranno valutati i fattori mentali e verranno utilizzati i poteri dell'intelletto, dobbiamo concludere che a questo campo di studio non verrà mai data troppa importanza." William Alanson White. The Autobiography of a Purpose, 1938.

sabato 9 marzo 2013

3PSI

Sono quasi 25 anni che mi prendo cura di persone che soffrono. Ho vissuto quasi 11 anni nella bolgia dei servizi pubblici di salute mentale e da 13 ho abbandonato quei luoghi in cui la cura nel tempo è stata sempre più condizionata dal controllo sociale e dalla collusione con gli interessi di terzi. Mi sono affrancato dagli assistenti sociali, dalle comunità più o meno protette, dai centri di salute mentale, dalle riunioni sui turni e dalle guardie vissute nella noia dell'attesa. La psichiatria é una grande finestra sul mondo che ti porta a vedere la realtà da un punto di vista critico, soggettivo, a cui non si può sfuggire se non al prezzo di una dissociazione insopportabile. La realtà é ciò che ognuno di noi percepisce come tale e in base a quella realtà che ho percepito come senza futuro mi sono licenziato. Uscendo dalla fortezza pubblica mi sono ritrovato solo con i miei pazienti a condividere la responsabilità di vite tormentate, condizionate dall'ansia di separazione o dall'angoscia della depressione, dal martellamento delle ossessioni allo sfinimento delle compulsioni, dalla sensazione di frammentazione che arriva quando tutto quello che c'è sembra svanire in un attimo. In questi ultimi 13 anni ho cercato di costruire giorno dopo giorno un luogo di cura in cui ci si potesse sentire sicuri, di poter mettere insieme nel tempo un équipe di terapeuti con cui condividere la responsabilità della salute di qualche migliaio di persone che hanno pensato in questi anni di consultare me come psichiatra per trovare una soluzione alle proprie difficoltà integrando la psichiatria con la psicologia come chiave di lettura e con la psicoterapia preziosa possibilità di cura. Molte soddisfazioni e inevitabilmente alcune delusioni.
Mi piacerebbe in futuro poter condividere con altri questa mia esperienza nella speranza di poter imparare ancora molto. Ecco perché 3PSI.

Tweets di @francesco961