Nell'affrontare il tema
del narcisismo ci sono inevitabilmente delle questioni da porsi la
cui soluzione costituisce la cornice all'interno della quale muoversi
per evitare di cadere nelle trappole che un tema di questo genere
tende a chiunque vi si addentri. Come vedete la trappola è già tesa
e la diffidenza diventa inevitabile come in tutti i casi in cui ci si
ritrova a fare i conti con le istanze idealizzate di sé. Saggiamente
terrò bene in mente un insegnamento che forse non ho ancora fatto
del tutto mio secondo il quale nella vita si fa quello che si può e
non ciò che si dovrebbe.
Riepilogo brevemente i
tratti salienti di questa cornice di questi presupposti su cui
costruire un discorso sul tema:
- Come evitare di fare un intervento narcisistico sul narcisismo
- Mostrare gli aspetti del narcisismo che riguardano tutti e che ciascuno può sentire come propri
- Mostrare l'importanza del narcisismo nella vita quotidiana
Il narcisismo è
caratterizzato dalla eliminazione dell'altro o perlomeno da un
tentativo del genere.
Spero quindi in questo
lavoro di riuscire a considerare gli altri e cioè di non far fuori
voi che leggete e di preoccuparmi di quello che riuscirò a farvi
capire tanto quanto di quello che io vorrei dire. Si sa fra l'altro
che il successo in campo relazionale è proprio legato a quanto si
riesca a tenere in considerazione l'altro e a farlo sentire partecipe
dei propri pensieri senza frustrare eccessivamente il suo narcisismo.
In poche parole quanto più arriverete alla fine di questo scritto
con l'idea di averci capito qualcosa, tanto più avrete la sensazione
di esserne soddisfatti. L'importante è non aderire eccessivamente
alla logica del successo e cercare in nome di esso di essere
all'altezza delle aspettative, perché altrimenti sarei costretto a
dirvi solo cose che già sapete frustrando così le mie velleità
narcisistiche di farvi pensare qualcosa di nuovo. Va tenuto presente
che il concetto psicologico di narcisismo fa riferimento a costrutti
teorici e situazioni umane assai complesse, che non possono essere
indebitamente semplificate: qualche difficoltà è perciò
inevitabile. Ognuno di noi quando ascolta qualcosa di nuovo farebbe
sempre bene a chiedersi dove stia la difficoltà di comprensione di
un concetto o di un discorso: le difficoltà obiettive esistono, è
ovvio, ma non c'è sempre una componente nostra individuale,
un'attiva resistenza alla comprensione? E non è questa resistenza un
primo fenomeno narcisistico? Introdurre qualcosa, un'idea,
un'immagine, un concetto proveniente dal di fuori costituisce
un'alterazione del nostro interno. A questa alterazione ci opponiamo
sempre e in alcuni periodi della vita quando abbiamo più bisogno di
sentirci noi stessi proprio perché stiamo cambiando (e non solo
nell'adolescenza), questo atteggiamento può essere tanto
condizionante quanto anche salvifico. I difetti e le complicazioni
inutili di questo lavoro sono da attribuire solo a me, ma un certo
tipo di difficoltà spetta anche a ciascuno di voi: se questa
difficoltà verrà riconosciuta, ognuno di voi potrà comprendere
bene una prima accezione del termine narcisismo.
Nel linguaggio quotidiano
la parola narcisismo ha assunto una serie di significati che solo
parzialmente hanno a che fare con l'accezione psicologica: si usa
spesso per indicare una persona vanitosa, piena di sé, che non si
interessa degli altri (egoista) e si connota spesso in senso
negativo, una specie di giudizio di condanna. Sarebbe bene per questa
occasione lasciare da parte questa concezione limitata e riflettere
sul fatto che il narcisismo è un modo essenziale di essere
dell'animo umano. Certo, può avere delle declinazioni eccessive, può
essere alla base di patologie gravi (il narcisismo maligno alla base
delle condotte psicopatiche), ma, prima di tutto, è una modalità di
pensiero normale, sana, essenziale per la vita stessa entro certi
limiti. La cosa interessante è che, come sempre accade in medicina
in generale ed in psichiatria in particolare, l'accezione comune di
un termine fa riferimento alla patologia (per cui un tumore è sempre
un cancro, e un momento di perdita di contatto con la realtà è una
schizofrenia) e quindi con il termine narcisismo ci si riferisce
comunemente a persone che vengono classificate dal DSM V come affette
da un disturbo narcisistico di personalità, caratterizzate da un
pattern pervasivo di grandiosità (sia nella fantasia che nei
comportamenti), bisogno di ammirazione, scarsa empatia e che
esordisce in età adulta precoce e si presenta in una varietà di
modalità come indicato dai seguenti criteri (5 di essi sono
necessari per una diagnosi):
- Un senso grandioso della propria importanza
- Fantasie di successo illimitato, potere, bellezza ed amore
- Idea di essere una persona speciale e di poter essere capito e di poter frequentare solo persone altrettanto speciali o di elevato stato sociale (o istituzioni)
- Richiesta continua di eccessiva ammirazione
- Sensazione di essere un privilegiato e pretesa di essere trattato in modo speciale
- Tendenza ad approfittare delle relazioni interpersonali con una tendenza alla manipolazione
- Mancanza di empatia: difficoltà ad identificarsi con pensieri e bisogni altrui
- Invidia
- Arroganza e modalità sprezzante sia nel comportamento che nei giudizi
La prevalenza del
disturbo riferita ai criteri definiti nel DSM IV (la classificazione
precedente) varia tra lo 0 e il 6%. In altre parole è possibile
secondo alcuni studi che il disturbo così come è descritto non
esista. Lascio a ciascuno di voi la riflessione sul significato di
questi dati.
Tratti narcisistici sono
particolarmente comuni negli adolescenti e la loro presenza in questa
fascia di età non è indicativa di un futuro sviluppo in senso
patologico della struttura di personalità. Gli individui adulti con
un disturbo narcisistico di personalità possono avere particolari
difficoltà nel percepire quando le loro performance fisiche e
lavorative non sono più supportate da una condizione favorevole come
conseguenza delle limitazioni legate all'età.
Il mito di Narciso
La storia raccontata da
Ovidio nelle Metamorfosi si può dire che l'abbia creata lui. Ci sono
pervenute pochissime storie o allusioni a Narciso o a personaggi che
abbiano avuto una storia come la sua in precedenza. E' anche vero che
ci sono state anche moltissime versioni successive. Cosa ha
raccontato dunque Ovidio? Potete non aver mai letto le Metamorfosi e
conoscere ugualmente la storia di Narciso. Questa è proprio la
caratteristica del mito, cioè quella di essere tramandata attraverso
il racconto. Qualcuno come me in questo articolo potrebbe avervi
raccontato la storia. Una versione che circola attualmente sarebbe
quella secondo cui Narciso era un tizio che innamoratosi della
propria immagine riflessa nell'acqua sarebbe annegato nel tentativo
di acchiapparsi. C'è indubbiamente del vero in questa versione ma
non ha nulla a che fare con la ricchezza della storia raccontata da
Ovidio (III libro, dal verso 316 al verso 510 delle Metamorfosi).
Ovidio fa nascere tutta
la storia da un sbornia di Giove, che nello stato di ebrezza provoca
Giunone sul fatto di essere certo che i mariti godano più delle
mogli durante l'attività sessuale. Giunone, che aveva il suo bel da
fare ad inseguire Giove per l'Olimpo sempre a caccia di ninfette, non
è affatto d'accordo e i due decidono di domandare un parere a
Tiresia, un tizio che aveva avuto una disavventura notevole: mentre
era in un bosco aveva bastonato due serpi accoppiate ed era stato
trasformato di colpo in una donna. Dopo sette anni aveva di nuovo
incontrato le serpi e colpendole nuovamente ritornò ad essere uomo.
Tiresia prende la questione sul serio e da ragione a Giove. Giunone
adirata acceca Tiresia reo di non aver visto giusto. Giove che non
può annullare il decreto di un altro dio, si salva la coscienza
dando a Tiresia una vista metaforica: sarai si cieco, ma veggente.
Non vedrà davanti a sé nello spazio ma nel tempo si.
Tiresia viene
interpellato qualche tempo dopo dalla madre di Narciso (figlio anche
di Cefiso), la ninfa Liriope, per sapere se il suo bambino neonato
sarebbe vissuto fino a diventar vecchio. Tiresia incattivito dalla
sua cecità e dall'impossibilità quindi di vedere se stesso, da alla
ninfa un responso che è la profezia-maledizione di un invidioso:
alla domanda se questo bellissimo bambino vivrà a lungo risponde “si
se non noverit” (se non conoscerà, non guarderà se stesso). Negli
anni Narciso diventa un bellissimo ragazzo che non si fa toccare da
nessuno (ragazzo o ragazza che siano) e mentre va a caccia viene
scorto dalla splendida ninfa Eco che si innamora perdutamente di lui.
Eco era stata punita da Giunone per la sua lingua lunga e condannata
a non poter far altro che ripetere la fine delle parole udite e
parlare quindi solo attraverso le parole degli altri (pur essendo
muta non può tacere se qualcuno parla). Quindi Eco quando si
innamora di Narciso non può far altro che parlare attraverso le
parole di quest'ultimo. Quindi Ovidio costruisce una situazione
intrigante in cui ricapitolando Tiresia è cieco ma veggente, Eco è
muta ma in qualche modo parlante e Narciso vede ma non deve vedersi
ma metaforicamente non vede altri se non se stesso. Il gioco tragico
è tutto sul chi parla a chi e chi vede chi. Ma torniamo alla povera
Eco e a Narciso il superbo. Eco quindi insegue narciso di nascosto
mentre va a caccia di cervi ma non può parlarci quindi non le resta
che fare qualche rumore per attirare la sua attenzione. Si innesca
quindi un dialogo basato sugli equivoci in cui alla fine Narciso
esorta Eco a trovarsi in un luogo “huc coeamus” a cui Eco
risponde inevitabilmente “coeamus” che oltre che trovarsi vuol
dire unirsi carnalmente e quando felice di essere riuscita ad
esprimere le sue intenzioni tenta di buttare le braccia al collo di
Narciso questi la respinge sdegnato e grida “crepo piuttosto che
stare con te”. Eco non può che rispondere “stare con te”
provando una grande vergogna che la farà consumare fino a morire: da
allora di lei ci è rimasta solo la voce (la condanna di Giunone
persiste anche dopo la morte: un decreto divino non può essere
cancellato). Narciso nel frattempo continua a far strage di cuori
tanto che uno dei delusi gli augura di amare senza essere amato e gli
dei (Nemesi) accolgono la preghiera e quando quel fatidico giorno,
stanco si stende a riposare al fresco vicino ad una sorgente e vede
con la coda dell'occhio riflessa nell'acqua la sua stessa immagine
bellissima, credendo che si trattasse di un altro, si innamora
perdutamente di quell'immagine che inutilmente tenta di abbracciare e
quando si accorge che le sue lacrime intorbidano l'acqua e si accorge
che “iste ego sum” (accidenti ma questo sono io) non sapendo
soffocare l'amore si straccia la tunica, si lacera il petto ed
insanguina la sorgente. La povera Eco (o quello che ne era rimasto, e
cioè la voce) prova un grande dolore e ripete le parole straziate
di Narciso che risuoneranno in tutto il bosco fino al ciao con cui
Narciso saluta la propria immagine ed Eco saluta il suo amato.
Narciso nel momento in cui capisce di essere lui stesso riflesso
dalla superficie dell'acqua, avvertirà il dramma di tutti coloro per
cui l'altro non esiste. Ricordiamo a proposito di rispecchiamento che
gli specchi antichi non erano così limpidi e spesso si riteneva che
lo specchio portasse male e che rispecchiarsi, anche nel sogno,
annunciasse la morte propria o di qualche parente e mantiene questa
qualità in molte credenze popolari.
Ma quando le Driadi si
accingono a preparare il rogo per bruciare il cadavere del povero
Narciso, non lo trovano più: al suo posto (ed è qui la metamorfosi)
è cresciuto e sbocciato un fiore rosso-arancione circondato da una
corolla bianca che da allora si chiamò appunto narcisus poeticus, il
fiore che anticipa la primavera e che muore presto e che guarda verso
il basso come il protagonista del mito guardava se stesso riflesso
nella sorgente dall'alto verso il basso .
Possiamo adesso ritornare
al nostro narcisismo e alle teorie che sottendono il suo significato
in psicologia e in psichiatria ma sono necessarie delle premesse per
non cadere nel tranello delle classificazioni, che come abbiamo visto
in precedenza, con l'obiettivo di creare dei criteri condivisi,
possono portare alla descrizione di situazioni cliniche lontane dalla
realtà dei singoli individui:
- le costruzioni teoriche sono delle astrazioni e, se è vero che non si può ridurre una persona ad una teoria, è altrettanto vero che fenomeni per lo più inconsci come quelli che sottendono al narcisismo, sono descrivibili solo attraverso astrazioni teoriche
- non si può valutare una persona da un dettaglio attribuendole una categoria diagnostica e quindi bisogna distinguere le strutture di personalità dai tratti di personalità di cui le strutture sono la risultanza
- è importantissimo tener presente che un comportamento non è praticamente mai un indice diretto di un particolare orientamento psichico. Scambiare una parte per il tutto è spesso la base di quei processi generalizzanti che caratterizzano le costruzioni paranoidi che portano ad interpretare la realtà senza tenerne conto (in modo narcisistico quindi).
Queste precisazioni sono
necessarie per evitare che alcuni concetti psicologici possano essere
utilizzati in senso moralistico e quindi per dare sommari giudizi.
L'obiettivo dell'analisi dei meccanismi che determinano pensieri e
comportamenti è la comprensione o, all'interno di una terapia, la
consapevolezza non il giudizio. Lo psichiatra per sua natura non può
essere quindi mai un giudice.
Freud (1914) fin dai suoi
primi studi sul narcisismo (Introduzione al Narcisismo) ne distingue
due tipi: da un lato una situazione inaugurale di narcisismo
assoluto, primario, quello del neonato (his majesty the baby) che
vive il mondo esterno come un'estensione di sé e, dall'interno di
una bolla diadica in cui si realizza la simbiosi perfetta con la
madre complice assoluta, braccio armato del suo pensiero (magico
onnipotente) governa il mondo. Tale condizione non essendo esperibile
direttamente può essere solo presupposta in un costrutto teorico.
Dall'altro lato Freud ha distinto una situazione psichica più
tardiva denominata narcisismo secondario, collegabile a
fenomeni clinicamente osservabili e più o meno parzialmente
esperibili soggettivamente. E' quest'ultima quella a cui noi
comunemente ci riferiamo quando parliamo di narcisismo ed è appunto
quella necessità degli individui di escludere più o meno
temporaneamente il mondo esterno per ritrovare un equilibrio interno.
Numerose persone nella pratica clinica quotidiana (e non solo)
sembrano non riconoscere davvero l'esistenza degli altri. Ovviamente
queste persone hanno a che fare con gli altri ma se li si sta ad
ascoltare, ci si accorge che l'altro, anche il più prossimo, non
viene riconosciuto come portatore autonomo di affetti, idee,
desideri. Semplicemente l'altro è considerato un mezzo per il
raggiungimento dei propri fini (attraverso modalità manipolatorie) o
qualcuno che confermi le proprie opinioni (come accade con quelle
persone che vogliono avere ragione ad ogni costo). Spesso il
riconoscimento dell'altro e della sua esistenza in queste persone e
perturbante per il proprio equilibrio e la consapevolezza
dell'esistenza altrui determina solo irritabilità (frequente quando
si viene svegliati al mattino improvvisamente), rabbia (quando la
costruzione idealizzata dell'altro non viene confermata ad esempio
quando l'altro non ci da ragione) e violenta aggressività (quando
l'altro è indistinto da sé e la sua perdita coincide con la perdita
di se stesso, alla base di molti omicidi-suicidi che sembrano andare
per la maggiore). In tale ottica le due teorie benché concordino
sull'impossibilità dell'esistenza di un narcisismo assoluto,
distinguono la possibilità di un certo grado di autonomia assoluta
quasi fisiologica nel caso del narcisismo primario (in cui la
relazione con l'esterno è pressoché assente), mentre nel caso del
narcisismo secondario (inteso come difesa della propria individualità
dall'invasione del mondo esterno) si presuppone un certo grado di
dipendenza altrettanto assoluta. In entrambi i casi le dinamiche
sarebbero inconsce, cioè il soggetto non se ne accorge per nulla
(“Pippo Pippo non lo sa ….” recitava Rita Pavone negli anni
'70). Proprio per ciò è a questo punto evidente quanto nel
linguaggio comune la parola narcisismo abbia significati lontanissimi
dal suo significato psicologico: di solito per narcisismo si intende
e si condanna un atteggiamento cosciente strafottente oppure
si usa come sinonimo di vanità o egoismo. Per contro in psicologia
il narcisismo non riguarda atteggiamenti coscienti e soprattutto
riguarda un equilibrio che, comunque lo si veda, è di fondamentale
importanza per la vita umana.
Ricapitolando: per la
vita di ciascuno di noi è fondamentale sviluppare un certo grado di
autonomia, di autosufficienza, di stima di sé, di sicurezza, di
piacere nello stare con se stessi, di sentimento di essere un
tutt'uno integrato. Il narcisismo serve a questo. Ma mentre realizza
queste condizioni mette fra parentesi gli altri. Per lo più questa
esclusione è un modo inconscio di pensare, del quale si possono
percepire solo alcune conseguenze e solo in casi estremi può essere
manifesta agli altri e cosciente al soggetto che la esprime.
Dall'altra parte viviamo tutti in un mondo che in qualche modo ci
reclama invadendoci continuamente con i suoi stimoli e le sue
richieste, perturbando costantemente il nostro equilibrio fatto di
consapevolezza e percezione di sé. Nel complesso potremmo dire che
ciascuno di noi nel corso della giornata oscilla tra sé e gli altri
con una prevalenza del narcisismo durante il sonno ed una rinuncia ad
esso prevalente nello stato di veglia: si tratta di una condizione
fisiologica che apparirà a tutti come necessaria. Nella cosiddetta
patologia narcisistica ci troviamo di fronte ad un investimento su se
stessi anche nello stato di veglia e questo determina gravi
conseguenze sul piano relazionale.
Il narcisismo nella
vita quotidiana
Accade spesso di sentire
delle riflessioni sulle fatidiche “feste della classe”, una sorta
di tuffo nel passato in cui vecchi compagni di scuola si rincontrano,
e di come il vissuto rispetto a queste rimpatriate sia mutevole.
Coloro che si adattano meno sembrano quelli che in virtù del tempo
passato e della percezione di esso hanno una certa difficoltà a
mettersi in relazione con persone che negli anni sono diventate degli
estranei. Al contrario i protagonisti di queste riunioni sono coloro
che hanno l'impressione che il tempo non sia passato e che
percepiscono gli altri sulla base dei propri ricordi e si divertono
molto, in maniera anche un po' sadica, a rivangare storielle scabrose
e nomignoli squalificanti. In genere i primi ritornano da queste
situazioni con un senso di estraneità o di noia (l'effetto più
caratteristico in risposta all'assenza di una relazione oggettuale
significativa) mentre i secondi ne derivano un grande divertimento e
non vedono l'ora che arrivi il prossimo anno per ripetere
l'esperienza. In realtà quelli simpatici hanno la capacità di non
mettersi in relazione con la persona reale che hanno di fronte ma con
l'immagine che hanno dentro di sé e non importa quanto l'altro ci
tenga a chiarire quanto le cose siano cambiate perché in ogni caso
“il simpatico” si terrà ben stretta la sua immagine, quello
sei e quello rimarrai: una specie di oggetto che mi serve per
certi miei pensieri, non una persona con una sua storia ed un suo
divenire. L'altro esiste non tanto di per sé nella logica
narcisistica ma solo come specchio (come ha narrato Ovidio) di una
propria attività psichica, la conferma di un proprio pensiero. Lo
stesso può accadere nel rincontrare una vecchia fiamma: chi abbiamo
incontrato? Una persona che abbiamo amato con la sua storia, l'amata
di un tempo (la sua immagine che ci siamo fatti) o l'amore che
abbiamo provato un tempo (cioè la sola sensazione che abbiamo
provato nei suoi confronti allora)?
Il
mondo della politica
Prendiamo spunto da
tangentopoli (ma il discorso potrebbe valere per altre situazioni ben
più attuali): è importante ricordare che in quegli anni ci furono
alcuni suicidi di persone inquisite dalla magistratura, in carcere o
fuori. Nella polemica di allora (ma le cose non sono cambiate) la
morte di queste persone fu attribuita, asseconda dell'orientamento
del commentatore, alla persecutorietà della giustizia o al senso di
colpa del suicida (quasi come se il suicidio costituisse una ovvia
ammissione di colpa). Se guardiamo le cose in maniera meno
condizionata (ed oggi è sicuramente più facile di allora) alcuni di
questi suicidi hanno delle caratteristiche particolari, quasi che
all'improvviso delle persone che appartenevano alla nomenclatura
(termine che preferisco a casta), ad un gruppo che si considera
intoccabile, avessero percepito che l'immagine che si erano costruite
di se stessi e che li aveva sostenuti fino ad allora non solo era
falsa ma addirittura franata. L'esito di una tale sensazione è che
se non ci sono più io (idealizzato), non esisto e tanto vale che
muoia. Ci possiamo chiedere di fronte a questo tragico esempio quale
equilibrio narcisistico reggesse tali persone, quale tipo di
illusione governasse i loro atti e persino come mai persone con
questo equilibrio strutturale avessero raggiunto posizioni così
ragguardevoli.
La domanda è: che
effetti produce sulle altre persone un individuo con una struttura
dall'equilibrio narcisistico? Sebbene sembri strano, (se uno non si
accorge di me perché dovrei a mia volta considerarlo?) un equilibrio
narcisistico è alla base del cosiddetto successo sociale. La
sicurezza, l'orgoglio, l'ambizione, la certezza di superiorità
costituisco un invito all'identificazione per moltissime persone, che
con il loro appoggio determinano il successo del narcisista (di qui
la partecipazione copiosa alle feste di classe organizzate dai soliti
noti). Si crea quindi un circolo di auto-potenziamento del fenomeno,
perché il successo aumenta la sicurezza, l'orgoglio, l'ambizione, il
sentimento di superiorità e di invulnerabilità del narcisista e ciò
aumenta ulteriormente il suo fascino, che produce ulteriori proseliti
e ulteriori probabilità di successo …. Andrebbe tutto bene se non
fosse per un dettaglio e cioè che questo circolo vizioso induce a
lasciar perdere la realtà fino ad un vero e proprio distacco. Mi
fermerei un attimo su questa riflessione (con un minuto di silenzio)
perché senza volerlo sembra descrivere alcuni fenomeni che viviamo
con una particolare frequenza ai nostri giorni. Riepiloghiamo quindi
un attimo: da un lato c'è una persona che per comodità chiamiamo
“il narcisista” ma che ha un effetto fascinatorio e carismatico,
dall'altra una certa quantità di persone che si identificano in lui
e che lo spingono a continuare sulla sua strada che rende a questo
punto il povero narcisista sempre più convinto, contro ogni realtà,
legato inscindibilmente all'immagine che gli viene riflessa dai suoi
fan, sale sul piedistallo che gli viene costruito dove si troverà
inesorabilmente solo e da cui prima o poi, più o meno rovinosamente,
cadrà. La caduta di un individuo che ha puntato tutto su di sé sarà
inevitabilmente terribile (dipende inoltre dall'altezza del
piedistallo): con parole un po' più narcisisticamente tecniche
potremmo dire che siamo di fronte all'esperienza del crollo
dell'oggetto narcisistico (come la scomparsa del seno per un
neonato o della madre per un bambino al primo anno di asilo) che non
è altro che l'immagine di se stesso (il mito e la morte di Narciso a
questo punto diventa francamente rappresentativo) e la conseguenza è
un tentativo estremo di essere ancora protagonisti della propria vita
togliendosela. Potrei azzardare l'ipotesi che i suicidi di alcuni
imprenditori travolti dalla crisi economica attuale abbia la stessa
natura ma so che questo susciterebbe in molti reazioni di sdegnata
protesta. Per cui è più confortevole considerare queste persone
come dei martiri del capitalismo in nome del potere della retorica.
Il mondo dello spettacolo
A questo punto del dramma
vorrei tranquillizzarvi sul fatto che in realtà questo tipo di
suicidi non avviene così frequentemente: spesso questo tipo di
narcisisti mantiene nel tempo un effettivo successo sociale e
vivranno felici e contenti anche dopo le cadute come dimostrano
molti nostri politici e persone del mondo dello spettacolo. Bisogna
distinguere tra successo sociale e realizzazione personale e non è
affatto detto che il primo garantisca il secondo anzi a volte proprio
l'assenza di questa realizzazione personale mantiene ad oltranza la
fame di successo. Quando una persona per 18 ore al giorno si occupa
di riunioni, attività promozionali, esposizioni al pubblico,
elaborazioni di strategie ulteriori per avere più successo, le
restanti 6 ore dedicate al sonno e all'alimentazione non sembrano più
sufficienti ad avere una vera e propria vita privata con quei momenti
di felicità derivanti anche dalla partecipazione della gioia altrui
e non sembrano sufficienti a prendere coscienza di una realtà
esterna che ci circonda all'interno della quale la nostra si svolge.
Come il mito di Narciso
ci insegna potremmo dire che fondamentalmente il narcisismo è
infelice. La ricerca a cui spinge non è mai del tutto soddisfacente
perché continuamente testimone dell'assenza dell'altro. Molte delle
continue traversie amorose dei personaggi mediatici di successo sono
anche dovute a questo fenomeno: la ricerca dello specchio anche nella
vita privata porta prima o poi (in genere prima) a rendersi conto che
quella persona scelta come partner narcisistico è differente, troppo
differente (da sé) e nel momento in cui diventa una persona e non
un'immagine riflessa da uno specchio la relazione narcisistica si
spezza e quindi finisce. Potremmo chiederci se sia il potere ad
accecare o la cecità del narcisismo che facilita l'ascesa al potere?
Penso che ci sia materia per un'altra relazione ….
A questo punto con questi
pochi concetti possiamo guardare un po' più vicino a noi ma per
farlo abbiamo sempre bisogno di una certa distanza: quando guardiamo
lontano possiamo veder con una certa chiarezza certi fenomeni ma
quando abbiamo il naso contro il muro ci riesce difficile vedere
tutta la casa. Possiamo passare quindi dagli esempi tratti dai
politici e dai personaggi pubblici ad altri più vicini a noi e che
riguardano la famiglia.
Il Narcisismo nella
famiglia
Abbiamo già dato una
definizione di narcisismo: è una situazione che elimina l'altro ed è
caratterizzata dall'investimento affettivo su se stessi. Ciò non
toglie che comunque gli altri esistano. Dire quindi che una relazione
è narcisistica può sembrare una contraddizione di termini se non si
precisasse che si tratta di una ellissi: bisogna dunque dire che
esistono relazioni con e tra persone narcisiste e che queste
relazioni hanno un po' la caratteristica di determinare un senso di
solitudine. Bisogna anche pensare che il narcisismo essendo anche un
fenomeno fisiologico in parte un certo senso di solitudine seppur
transitorio, si può avvertire sempre (in modo sano). E'
un'esperienza frequente (soprattutto con l'avanzare dell'età) quella
di trovarsi ad una cena con amici ed avere l'impressione che ognuno
parli per sé e che non ci sia un vero e proprio filo conduttore del
discorso (con la conseguenza di sentirsi soli).
Se consideriamo la
famiglia, vedremo che anche in essa le componenti narcisistiche non
mancano mai. L'importante è che non siano dominanti. Ma sarebbe
tragico se mancassero del tutto.
Molte delle esperienze
narcisistiche avvengono nella primissima infanzia, e il contesto
familiare è il palco in cui il dramma della scoperta del mondo e
della dipendenza da esso si consuma, quando il neonato, nudo,
incapace di agire e di parlare, persino di pensare, vive in balia
totale dell'ambiente. In questa ottica si capisce come le relazioni
siano essenziali per la vita. Il problema di ciascuno alla nascita è
quindi quello di diventare un individuo, un essere staccato e
diverso dagli altri ma in qualche modo in relazione con loro, dotato
di un certo grado di autonomia (sia psichica che materiale) senza la
necessità di un eccessivo distacco. La condizione del neonato
potrebbe essere descritta come quella di un individuo che è tale e
sa (inconsciamente) di esserlo e che esperisce di non essere in grado
di esserlo. Il neonato ha comunque la possibilità grandiosa, a
fronte della sua disastrosa situazione iniziale (vista con gli occhi
di un adulto), di concepirsi in forma allargata. Chi sono? Sono
l'insieme delle mie condizioni piacevoli, delle forze che mi danno
piacere: questa è la forma a cui si allude quando si parla di
narcisismo primario. Il limite di questa formulazione è che è una
forma per esprimere una situazione nei termini dell'adulto.
Probabilmente il neonato non si pone la domanda “chi sono?” ma
esperisce direttamente di sentirsi allargato dal piacere e di sentire
come estraneo tutto ciò che provoca dispiacere. Inutile dire che
questa condizione di narcisismo primario non ha niente a che fare con
la realtà tanto che l'accettazione di un concetto di questo tipo
provoca inevitabilmente forti resistenze in chi ascolta. Ma è utile
sottolinearne l'utilità perché se il neonato avesse una
precocissima consapevolezza della sua realtà si sentirebbe disperato
ed in balia degli altri, mentre il suo senso di onnipotenza e la
possibilità di poter guardare al mondo con fiducia e soddisfare i
propri bisogni con l'arroganza dell'urlo e del pianto gli permette di
accumulare sufficiente fiducia in se stesso nel tempo da poter
affrontare il mondo. E l'altro all'inizio della vita è si qualcuno
da cui ci si può attendere cibo, calore, amore, ma anche qualcuno di
enorme, sproporzionato. Il neonato quindi è un nano che deve avere
molta fiducia in sé per poter affrontare il mondo dei giganti (per
chi ha letto i Viaggi di Gulliver il concetto non dovrebbe essere di
difficile comprensione). La differenza tra questa condizione e il
narcisismo secondario di Narciso, del politico di successo o il tizio
che incontra una vecchia conoscenza per strada, è che l'oggetto,
cioè il qualcuno su cui proiettare un immagine propria (spesso
idealizzata), non esiste. Il neonato non si rispecchia all'inizio in
nessuno, non guarda se stesso riflesso altrove: semplicemente si
piace perché prova piacere. Il passaggio dal narcisismo primario a
quello secondario è determinato dal fallimento del primo e non è
indolore e passa attraverso il riconoscimento che qualcosa (che poi
diverrà qualcuno) dall'esterno deve intervenire per eliminare la
fonte di tensione, di dispiacere. L'assenza della madre per il
neonato in una tale ottica, è l'assenza di sé e quando un bambino
si trova in una condizione di trascuratezza (oggettiva), di abbandono
non può che subire il trauma della sensazione di morte che questo
comporta. In situazioni più abituali nel processo di riconoscimento
dell'altro c'è il problema di sperimentare la sofferenza della
frustrazione dell'attesa: la madre non è sempre li a dare cibo
etc... A posteriori possiamo dire: per fortuna la madre non è
perfetta: se lo fosse, non incentiverebbe il piccolo ad uscire dalla
sua condizione di narcisismo primario che come sappiamo è del tutto
irrealistico. E tuttavia questa esperienza si fallimentare, è stata
talmente soddisfacente che ad essa dobbiamo costantemente tentare di
ritornare e lo facciamo quotidianamente come abbiamo visto con il
sonno un evento assolutamente necessario. La realtà esterna viene
avvertita dall'individuo come disgregante mentre l'individuo ha la
necessità di integrarsi. Se il sonno quindi serve a reintegrarsi è
perché la realtà esterna obbliga ad investire su di essa per
comprenderla o per elaborare gli stimoli che essa continuamente ci
invia, rendendoci costantemente diversi da come eravamo prima
sottraendo energia alla nostra necessità di integrazione. L'assenza
di sonno in alcune situazioni patologiche come gli stati maniacali
determina in poco tempo la disgregazione degli individui gettandoli
durante la veglia in uno stato di dissociazione dalla realtà, difesa
narcisistica estrema nei confronti di un'invasione dall'esterno
diventata in altri modi ingestibile.
A questo punto ci si
potrebbe chiedere qual è il ruolo della mamma nel far uscire il
neonato dal narcisismo primario, una domanda che ovviamente non ha
senso pratico quindi non c'è da prendere appunti ma solo da
lasciarsi andare ad un flusso possibile di pensieri. La mamma
fortunatamente è colpita da una serie di sensazioni nuove che
comunemente definiamo istinto materno e sulla base di questo sente
che il bambino è un tutt'uno con lei determinando frequentemente
qualche reazione di gelosia nei mariti trascurati (regrediti per
l'occasione allo stato di neonati). Freud ipotizzava che la madre
permetterà al bambino di uscire dal narcisismo primario nella misura
in cui rende tollerabile al bambino la frustrazione di avere a che
fare con la realtà. Tutto ciò sembrerebbe possibile attraverso una
funzione di contenimento (holding) che la mamma sarebbe in grado di
sostenere nei confronti dell'ambiente esterno. In tale ambiente il
bambino nel tempo riuscirà a percepire la madre come separata da sé
e ad intraprendere quel processo di individuazione che lo porterà a
costruirsi nel tempo una propria struttura di personalità.
Nella vita quotidiana di
una famiglia, il narcisismo ha un gran peso. Ognuno dei membri ha a
che fare non solo con gli altri familiari ma anche con le proprie
identificazioni con loro. Per cui si arriva a quelle situazioni solo
apparentemente paradossali in cui ad esempio padre e figlio non si
sopportano perché hanno lo stesso carattere. Somigliare a qualcuno
per un figlio se da una parte costituisce la base per le introiezioni
dei tratti parentali derivandone un tranquillizzante senso di
appartenenza, dall'altra costituiscono il fallimento del proprio
costante tentativo di individuazione, cioè di quel processo che lo
porterà a sentirsi unico. Un caso particolare e non infrequente, è
quello del genitore narcisista, il cosiddetto genitore di successo
con il particolare gioco di identificazione che può instaurarsi. Che
succede ad un figlio che si identifica con un padre del genere? Da un
lato può accadere che il narcisismo del figlio si accresca
aggiungendo l'identificazione con un narcisista al narcisismo proprio
(con un effetto terribile), dall'altra può accadere che la tendenza
alla differenziazione divenga gravemente ostacolata e si osservano
spesso degli scoppi di rabbia distruttivi diretti contro il genitore
o le realtà extra-familiari, tentando nel primo caso di distruggere
l'immagine narcisistica del padre e riducendolo a sembianze più
umane costringendolo ad affrontare il proprio fallimento e nel
secondo caso realizzando concretamente ciò che il padre attua
simbolicamente, ossia la distruzione degli altri in quanto
irrilevanti.
Chiunque abbia avuto
figli adolescenti ha passato qualche esperienza di questo genere,
magari anche solo transitoriamente. Il problema è che chiunque è
stato in precedenza adolescente e in qualche misura se tollera di
regredire alla propria esperienza del tempo per comprendere il
proprio figlio, sperimenta nuovamente la stessa difficoltà (ma con
il proprio genitore). E' facile comprendere la complessità di
processi (rispecchianti) di questa portata. Se tale regressione
(narcisistica) permetterà al genitore di tornare a sperimentare
emozioni sostenibili sarà possibile quella comprensione che
determinerà il superamento del conflitto e aiuterà il figlio a
tollerare la situazione di difficoltà. Se invece questo ritorno al
passato farà riemergere conflitti irrisolti a cui il genitore è
rimasto “fissato”, la sua reazione sarà inevitabilmente di
irritazione e/o rabbia (“non so da chi tu abbia preso”) con
l'esito scontato di un conflitto insostenibile, a cui il figlio dovrà
piegarsi se non vuole pagare il prezzo della distruzione di un
genitore (non più) idealizzato: il prezzo sarà il ritiro in se
stesso, con la costruzione di un se stesso ideale, un vero e proprio
persecutore, dando vita a quella sensazione di vergogna o di scarsa
autostima, che spesso viene chiamata in causa (anche a sproposito),
quando non si è soddisfatti di sé e quando si ha quella sensazione
destabilizzante che “per quanto si faccia o si tenti di fare sembra
che non basti mai”. Nella vita familiare quotidiana, l'equilibrio
tra esigenze narcisistiche e quelle relazionali che spingono verso le
altre persone, è continuamente messa alla prova e proprio in ciò
sta una delle funzioni fondamentali della famiglia e cioè quella di
essere un luogo in cui un figlio resta figlio e un genitore resta
genitore, un fratello resta un fratello qualunque cosa accada.
L'equilibrio di tale sistema basato sulla stabilità delle relazioni
può continuamente mutare, ma resisterà se sufficientemente elastico
e mobile.
A questo punto penso che
possa cominciare a diventare chiaro come la questione del narcisismo
sia davvero fondamentale: essa sta alla base di concezioni assai
diverse dell'umanità perché quello che è in ballo è l'idea stessa
di individuo come parte dell'umanità.
La Deriva Sociale
Narcisistica
Potremmo
ipotizzare in modo assolutamente generale, che lo spostamento delle
patologie in psichiatria verso il polo narcisistico e l'aumento
dell'importanza della componente narcisistica nella vita quotidiana,
rappresentano una modalità difensiva di fronte alla continua
tendenza a rappresentare l'individuo come costantemente insufficiente
di fronte ad una quantità di stimoli ambientali costantemente
crescente. Va da sé che un aumento degli stimoli comporta un aumento
delle difese narcisistiche volte a mantenere un certo equilibrio
interno.
Questa
rappresentazione di insufficienza, proprio per la sua costanza, suona
come una prescrizione sociale tanto che il buon individuo è quello
che si uniforma ad essa. I messaggi quotidiani che arrivano
dall'esterno (dalla televisione e dalla pubblicità ad esempio)
definiscono un individuo che non sa, che da solo non ce la farebbe,
che per compiti quotidiani banali ha bisogno dell'esperto di un tale
o tal altro prodotto o di un qualche genere di consulente (magari
globale). Una madre o un padre non saprebbero come fare con il
proprio bambino se non ci fosse l'esperto travestito da psichiatra,
psicologo o governante di turno a consigliare come trattarlo o
addirittura amarlo, come nutrirlo in maniera sana e con quali
prodotti: nascono le scuole per genitori. In tale bombardamento di
stimoli ci si convince che i problemi quotidiani siano solubili solo
con l'aiuto degli altri o con un mezzo esterno (promuovendo così
quelle distorsioni della relazione che conosciamo comunemente col
termine di dipendenza. E' sottinteso che tu con la tua testa o con le
tue forze non ci arriveresti mai. Messaggio terribile ed omicida
perché costituisce un attacco proprio quella struttura psichica
dell'individuo che, tramite il pensiero, riesce ad escogitare
soluzioni adeguate ai problemi interni ed esterni. Come meravigliarsi
quindi che di fronte a questo bombardamento che mina l'autonomia del
pensiero, non ci sia una reazione narcisistica adeguata e
proporzionale, una tendenza a proteggersi proteggendo proprio quella
parte di sé che deve essere amata per sopravvivere come individui?
Prima di condannare il narcisismo sfrenato della nostra epoca, come
fanno molti nostalgici dei bei tempi andati, converrebbe chiedersi se
esso non rappresenti davvero una risposta ad una tendenza culturale e
sociale in atto e se, in tal modo, non si vada disegnando il profilo
di un essere umano contemporaneo diverso dall'individuo cui eravamo
abituati a pensare, sia nelle modalità di soffrire che in quelle di
amare. Sembrerebbe una considerazione pessimistica ma per chi è
abituato a considerare l'umanità come inesauribilmente complessa e
capace di elaborare nuovi strumenti di pensiero, questa potrebbe
rappresentare una sfida a pensare l'attualità e il futuro in termini
nuovi. La possibilità di considerare in un ottica più ampia la
pressione della componente narcisistica sul piano individuale e
sociale, potrebbe costituire una chiave strategica per pensare ad
esempio ad una terapia più efficace in campo clinico (più centrata
sulla consapevolezza delle proprie capacità che sui consigli di un
esperto idealizzato) ed a scelte sul piano politico e sociale mirate
ad evitare una difesa narcisistica condizionata da istanze regressive
altrimenti insostenibili (scegliendo strategie di
responsabilizzazione piuttosto che di controllo sanzionatorio). Nella
società globalizzata, in tempi di rapido cambiamento, l'impressione
immediata che facciamo può diventare molto più importante della
nostra integrità e sincerità, qualità che continuano ad essere
apprezzate invece nelle comunità più piccole e stabili. Nel 1831,
Alexis de Tocqueville faceva notare come una società che offre pari
opportunità a tutti possa generare nei cittadini la preoccupazione
di come dimostrare la propria superiorità. Senza un sistema di
classi che fornisce livelli visibili di status sociale, i cittadini
tentano di accumulare prove osservabili della loro superiorità (i
cosiddetti status symbol), poiché apparire inferiori
corrisponderebbe al fallimento personale. La possibilità di una
riedizione di un sistema classista sembra indubbiamente
anacronistica, ma riportare l'individuo ad una realtà in cui fare
quello che si può può essere motivo di soddisfazione potrebbe
spezzare questo vortice di idealizzazione in cui i singoli esseri
umani si ritrovano ad essere centrifugati (ogni successo di oggi è
il trampolino per quello di domani ...)
Freud nel saggio del 1929
“Disagio della Civiltà” sosteneva che il comandamento ama il
prossimo tuo come te stesso fosse la più forte difesa contro
l'aggressività umana. Il comandamento è irrealizzabile, un
inflazione così grandiosa dell'amore può solo sminuirne il valore.
Nella società civile chi si attiene al comandamento si mette solo in
svantaggio rispetto a chi non se ne cura. Che immane ostacolo alla
civiltà deve essere la tendenza aggressiva, se la difesa contro di
essa può rendere tanto infelici quanto la sua esistenza. La
cosiddetta etica naturale non ha qui da offrire nulla al di fuori
della soddisfazione narcisistica di potersi ritenere migliori degli
altri.
In questi anni in cui il
mondo sembra più cattivo della sommatoria di quanti lo
costituiscono, la tentazione della bontà è molto forte. La bontà,
l'altruismo, sono diventati indubbiamente un prodotto di largo
consumo e molte sono le associazioni che a livello locale e
internazionale se ne occupano. Sono in atto inoltre fenomeni di
marketing in cui associazioni di volontariato a base di altruismo ed
“essere al servizio degli altri”, fungono da veicolo per messaggi
pubblicitari. Qualche mese fa era in piedi una campagna pubblicitaria
in cui se andavi da un certo parrucchiere (e non da un altro) una
parte di quanto devoluto all'acconciatore veniva destinata
all'UNICEF. Non sarebbe stato masochisticamente più semplice farsi
la messa in piega a casa per una volta e destinare il quantum
direttamente? L'idea che si vorrebbe far passare è che il
parrucchiere buono sacrificherà una parte dei propri guadagni per i
bambini sfortunati, ma se molti penseranno che quel parrucchiere è
più buono degli altri alla fine la bontà trionferà e sarà il più
buono ad essere il più ricco. Il tutto associato ovviamente ad un
veicolo narcisistico: la cura dei propri capelli, per cui tanto più
spesso ti prenderai cura di loro (i capelli, cioè ciò che mantiene
stabile la temperatura della tua testa) tanto più aiuterai quei
poveri bambini. Quanto bene si può fare prendendosi cura di sé. Ho
l'impressione che a furia di ironizzare su questo tema mi convincerò
che amare il prossimo tuo come te stesso sia proprio andare da uno
specifico parrucchiere rigorosamente unisex (non me ne vogliano i
barbieri vittime di un maschilismo fuori moda). Concluderei con una
considerazione che a questo punto dovrebbe essere qualcosa di più
che una battuta: spesso si pensa che “essere cauti nella critica e
generosi nella lode” sia una massima rispettabile, ma, alla luce
delle conoscenze che abbiamo messo insieme in questo lavoro, sorge il
dubbio che questa massima sia tanto desiderabile nei confronti
dell'altro quanto narcisisticamente rischiosa se applicata a
se stessi. Qualcuno potrebbe obiettare che questi due pesi e due
misure potrebbero apparire masochistici ma sarebbe un altro discorso.