Quando si ha a che fare
con la complessità della psichiatria accade spesso che si
presupponga come chiave di lettura uno specifico approccio che tende
ad escludere punti di vista alternativi. E' quello che accade nella
logica antitetica tra ottica psicologica e biologica. Questi
presupposti per certi versi pregiudiziali, sono spesso causa di
errori di interpretazione perché potenzialmente condizionati dagli
errori di ciascun approccio specifico.
Gli Errori dell'Approccio
Psicologico alla Psichiatria
Alcuni critici della
psichiatria, specialmente tra gli psicologi e i sociologi, dall'alto
di una posizione erudita, mettono sotto accusa il riduzionismo della
nosografia psichiatrica, che con un termine unico (come ad esempio:
depressione) raggruppa un insieme di persone ignorandone le diversità
e le molteplici cause che nella vita ne producono i sintomi. Per
quanto tempo ancora saremo costretti a sentire il ritornello secondo
cui la psichiatria ha medicalizzato la quotidianità? Certo non
possiamo sostenere che questa critica sia falsa, anzi potremmo anche
dire che è vera per più della metà. E' probabile che in
psichiatria ci sia una tendenza a iper patologizzare e questo fin da
prima dell'avvento di quello che oggi chiamiamo riduzionismo
biologico. Per un secolo, gli psicoanalisti hanno per certi versi
iper patologizzato sebbene essi non potessero essere affatto accusati
di riduzionismo biologico. Forse la tendenza a catalogare è alla
base di una pletora di categorie diagnostiche, che nel tentativo
disperato di cogliere le infinite sfumature della clinica, spaccano
per così dire il capello in quattro dando così la sensazione di
avere un' etichetta per chiunque.
Di fronte a queste
critiche dobbiamo pensare che c'è un profondo errore nella
psicologia e nella psichiatria e che ha origini più lontane nel
tempo rispetto all'era biologica. Non c'è peggior rischio
nell'approccio psicologico alla psichiatria della fallacia di una
certa tendenza a “giustificare” un sintomo o una malattia con
razionalizzazioni riguardanti le presunte cause alla base di esse.
Quante volte un paziente
ci ha detto, quando gli chiediamo una spiegazione dei sintomi
depressivi o maniacali, “ero depresso a causa di x, y etc..”,
“divento maniacale, quando sono veramente interessato alle cose”?
Quante volte abbiamo visto clinici della salute mentale sottovalutare
disturbi dell'umore, a causa delle giustificazioni derivanti da
molteplici stressors psicosociali? Quante volte ancora saremo
costretti ad assistere al teatrino messo in piedi da presunti esperti
della salute mentale che giustificano un suicidio con tasse da pagare
o multe ingiuste e non preventivabili?
Questi giudizi
psicologici o meglio para-psicologici, si basano esclusivamente sul
senso comune. Ma se il senso comune fosse sufficiente a spiegare le
cose, i nostri pazienti non avrebbero bisogno di psichiatri e
psicologi ma potrebbero essere curati da parenti e amici se non da se
stessi. Molti in realtà pensano questo e purtroppo questa mia
affermazione è piuttosto lontana dall'essere una battuta di spirito.
Se i pazienti attraversano la soglia dello studio di un clinico, vuol
dire che il senso comune ha fallito e che di per sé non è
sufficiente. Quindi sarà necessario un senso scientifico, che è
piuttosto diverso dal comune buon senso.
Gli Eventi della Vita
causano veramente una depressione?
Una gran quantità di
letteratura scientifica negli ultimi decenni si è occupata della
relazione tra i cosiddetti “life events” e la depressione nel
tentativo di dimostrare un nesso tra episodio depressivo ed evento
stressante. Ma quali sono questi eventi della vita che possono
determinare un disturbo dell'umore? Problemi con il coniuge, con il
capo al lavoro, o con un figlio, problemi finanziari, perdita della
casa, malattie varie sono spesso chiamati in causa. Ci si domanderà
quindi chi nel corso della propria vita eviterà o può presumere di
poter evitare problemi di questo genere? La domanda quindi potrebbe
diventare non tanto perché questi eventi causino una depressione,
quanto piuttosto come mai la maggior parte delle persone che vanno
incontro a tali problemi non sviluppino un disturbo depressivo.
Ovviamente nel mondo della psichiatria c'è anche chi si è occupato
di questo. Lo spunto per una possibile spiegazione del motivo per cui
tentare di creare dei nessi di causa effetto tra eventi stressanti e
psichiatria può avere un senso, viene da alcuni studi condotti negli
anni '70 e '80 su pazienti con un'epilessia grave resistente alla
terapia che venivano sottoposti ad un intervento di resezione del
corpo calloso, nel tentativo di isolare i due emisferi cerebrali e
prevenire le convulsioni generalizzate. Questi interventi diedero il
via ad alcune interessanti ricerche di tipo neuropsicologico.
Mostrando un disegno che raffigura una donna che parla al telefono,
ponendolo nel campo visivo sinistro di un paziente in cui fosse stato
disconnesso l'emisfero destro, e quindi impedisse il passaggio
dell'informazione all'emisfero sinistro in cui si trova il centro del
linguaggio soprattutto nei destrimani, capitava che alcune persone
descrivessero comunque l'azione raffigurata nel disegno ma
sbagliando, descrivendo l'azione come ad esempio quella di un
bambino che gioca a palla. Ma se veniva chiesto allo stesso paziente
di mostrare cosa facesse il protagonista della vignetta, alcuni
prendevano il telefono con la mano sinistra (riproducendo quindi
l'azione corretta). Quindi questo dimostrava che pur avendo
l'informazione, essi non erano in grado di esprimerla verbalmente. Ma
ancora più interessante era il fatto cha anziché ammettere la
propria incapacità di espressione, essi comunque facevano qualcosa,
una specie di confabulazione. Questo quindi è quello che il nostro
cervello fa, cioè razionalizza. Noi cerchiamo una ragione per ogni
cosa e gli psichiatri lo sanno bene perché quando domandano ad un
paziente il motivo per cui ha l'ansia ad esempio, il paziente di
fatto non lo sa, ma non per questo rinuncia a trovare una spiegazione
ragionevole. Ma molte volte le spiegazioni razionalizzate, basate sul
senso comune sono false, soprattutto nei casi in cui sono in ballo
cause di tipo biologico. Quindi ritornando al ruolo dei life events,
possiamo ipotizzare che essi possono influenzare il momento
dell'insorgenza dell'episodio depressivo, ma non ne spiegano
l'eziologia. Alla base di episodi depressivi, soprattutto se
ricorrenti, non può che esserci una causa interna probabilmente
biologica che in qualche modo può spiegare come mai il 10% delle
persone diventino depresse di fronte ad un evento che non causa un
disturbo dell'umore nel 90% dei casi. Questo forse è un buon motivo
per riflettere sulle cause biologiche della depressione senza
tacciare l'approccio come inevitabilmente riduzionista. Esiste quindi
alla base di queste tendenze alla spiegazione razionalizzata un
riduzionismo psicologico molto simile a quello che può esistere
nell'approccio biologico.
Gli Errori dell'Approccio
Biologico alla Psichiatria
Accade di frequente,
quando si esprimono delle perplessità nei confronti della validità
di alcuni costrutti diagnostici come il disturbo da deficit
dell'attenzione e iperattività (ADHD), o il disturbo borderline di
personalità, di sentirsi rispondere che questi disturbi determinano
dei cambiamenti specifici nel cervello ed è dimostrato dalle
tecniche di neuro imaging. Come si può ignorare un dato così
oggettivo rispetto ad una malattia evidentemente biologica?
Il problema è che spesso
in psichiatria confondiamo i termini biologico e malattia: non tutte
le cose che hanno a che fare con la biologia sono malattie anche se
per altri versi potremmo affermare che in qualche modo tutte le
malattie sono in ultima analisi biologicamente determinate. Noi
sappiamo che tutte le esperienze psicologiche degli esseri umani sono
mediate dal cervello e che il cervello cambierà tutte le volte che
avrà delle esperienze. Leggere un articolo che parla del cervello è
un'esperienza psicologica. Un delirio nella schizofrenia è
inevitabilmente un'esperienza psicologica. E' però altrettanto
chiaro che il cambiamento che nel cervello si determina leggendo un
articolo non riflette una condizione di malattia, mentre quello del
secondo caso, evidentemente si.
Quindi mostrare dei
cambiamenti cerebrali con una risonanza magnetica nel caso di ADHD o
di un disturbo borderline, non dimostra che queste condizioni siano
malattie. Se si guarda la televisione o si gioca con un videogame si
verificheranno dei cambiamenti nel cervello e si potrebbero anche
avere contemporaneamente sintomi di ADHD. Se una persona vine
ripetutamente abusata nel corso della propria vita, questa persona
subirà dei cambiamenti nel proprio cervello, e potrebbe anche
sviluppare nel tempo dei sintomi clinici di una personalità
borderline. Ma questi cambiamenti nel cervello non hanno lo stesso
ruolo causale dell'atrofia neuronale che si determina nella trisomia
del cromosoma 21, o nella schizofrenia o piuttosto nel disturbo
bipolare, che hanno un substrato d'origine determinato da una
maggiore componente di tipo genetico. Nel caso delle malattie, i
cambiamenti biologici sono eziologici, determinano cioè la
sintomatologia clinica. Nel caso invece di disturbi come l'ADHD (non
associato a disturbo bipolare) o il disturbo borderline di
personalità, i cambiamenti biologici sono l'effetto, non la causa,
di altri fattori eziologici che determinano la sintomatologia (come
ad esempio gli abusi sessuali). Quindi la biologia non è sinonimo di
malattia perché spesso riflette la patogenesi e non l'eziologia di
un disturbo. Tutte le cose sono mediate dal cervello che è la via
comune finale di ogni esperienza. Ma i cambiamenti che avvengono nel
cervello a loro volta non sono la causa ultima dell'esperienza, sono
al massimo la causa più prossima nel determinare l'esperienza
stessa. Tutto questo determina spesso una posizione rigida e per
certi versi paradossale in alcuni psichiatri, che risultano più
biologicamente orientati del più estremo dei cardiologi. A volte noi
psichiatri abbiamo bisogno di enfatizzare gli aspetti biologici, come
nel caso dell'ADHD, per prescrivere con più tranquillità le
anfetamine; enfatizziamo la biologia della personalità borderline
cosi possiamo sentirci tranquilli quando la diagnostichiamo, evitando
così in buona fede di fare diagnosi alternative come quella di
disturbo bipolare evitando così di prescrivere stabilizzatori
dell'umore. Accade quindi spesso che utilizziamo la biologia per
giustificare la razionalità delle nostre ideologie. Allo stesso
modo, una parte degli psicoanalisti, a lungo gli antagonisti per
antonomasia del pensiero biologico, hanno virato verso la
neuro-psicoanalisi per avvalorare le proprie teorie, snaturandone il
senso e finendo per lo più nei meandri della banalizzazione in
quella che è stata definita da alcuni saggi “la bolla neurale”.
In ogni caso dal momento
che il cervello è la via finale comune, ogni cosa è inevitabilmente
biologica, incluso questo articolo. Ma sarà meglio dimenticare la
biologia a meno che non siamo disposti a distinguere l'eziologia
dalla patogenesi, come farebbe qualsiasi buon medico.
La Possibile Soluzione
E' facile in un articolo
negare o denunciare il riduzionismo sia biologico che psicologico ed
è altrettanto facile nella pratica cadere nel riduzionismo. La
giustificazione più comune è che quando si è sotto pressione, va
bene ogni cosa. Per cui diventiamo tutti bio-psico-sociali e
combiniamo in qualche modo tutti gli approcci, in una sorta di
eclettismo che ci permette di fare quello che ci viene più facile.
Sono i cosiddetti approcci integrati che tanto vanno di moda oggi ma
che sembrano più determinati a risolvere in modo politicamente
corretto i conflitti fra scuole di pensiero, che i problemi effettivi
dei pazienti. Così ci ritroviamo a professare un'approccio biologico
e a cadere in un riduzionismo psicologico e viceversa. Accade che
alcuni psichiatri dominati da un eclettismo furioso facciano la
prescrizione di una terapia farmacologica a margine di una seduta di
(para) psicoterapia. Potremmo dire comunque che, nonostante il mio
neanche tanto velato dissenso, questa forma di eclettismo facile è
la teoria predominante della psichiatria attuale, sempre che si
possa chiamarla “una teoria”. Si tratta in realtà di una forma
di dogmatismo anarchico. C'è da chiedersi a questo proposito se ci
sia una soluzione al di là dell'eclettismo o dell'anarchia e forse
c'è e potrebbe essere questa: la scienza. Essa non ha niente a che
fare con il riduzionismo biologico come molti potrebbero pensare,
anche se da un punto di vista teorico si potrebbe postulare che la
scienza è riduzionistica per natura: essa prova a prendere in
considerazione qualcosa di complesso e tenta di valutarne un aspetto.
Essa accetta solo teorie che sono testabili, preferibilmente
confutabili e non solo confermabili.
Nel caso della
psichiatria, la ricerca scientifica può insegnare che alcune
malattie sono prevalentemente biologiche (come la schizofrenia, il
disturbo bipolare ed alcune forme di depressione ricorrente) e siamo
giustificati nell'avere un atteggiamento riduzionistico nei loro
confronti. Dall'altra parte, alcuni quadri clinici sono
fondamentalmente psicologici dal punto di vista eziologico (come nel
caso di molti quadri clinici di tipo isterico che oggi vengono più o
meno inclusi dalle varie classificazioni DSM nel disturbo post
traumatico da stress (PTSD), alcune forme di panico e i disturbi
cosiddetti somatoformi), altri hanno un'origine per lo più sociale
(come accade in molti casi di ADHD in bambini che vivono in contesti
di povertà ed abbandono e che non possono accedere a sviluppare
strutture comportamentali socialmente condivisibili nella loro vita).
In questi casi non c'è
molto di opinabile, per cui considerare l'origine di questi quadri
clinici non dipende da un punto di vista piuttosto che un altro. La
ricerca scientifica definirà ciò che è biologico, psicologico e
sociale e in qualche caso potrà ipotizzare che due di questi fattori
eziologici possono avere uguale rilevanza (come accade con i tratti
di personalità negli studi di genetica). In questi casi saremmo
giustificati nell'essere “bio-psico-sociali”.
In altre parole il nostro
problema maggiore in psichiatria è che noi non ci affidiamo
realmente alla scienza, lo diciamo solo a parole, e addirittura a
volte abbiamo un atteggiamento di sufficienza nei suoi confronti.
Questo non è sorprendente, dato che la nostra cultura prevalente ha
sviluppato un eccessivo scetticismo, se non una forma di vera e
propria paranoia, nei confronti della scienza. Molti fenomeni di
deriva populistica dominati da un pensiero magico onnipotente ai
confini del fanatismo religioso come il metodo “stamina”, la
“cura Di Bella”, le teorie di scientology, la diffidenza nei
confronti delle vaccinazioni ne sono una evidente testimonianza. In
psichiatria fra l'altro la situazione potrebbe essere peggiorata dal
fatto che chi se ne occupa (incluso me) è motivato da predilezioni
personali a carattere umanistico, aumentando quindi l'impressione di
un'opinabilità che già dilaga quasi incontrastata. Questo è un
altro problema culturale: si tende a considerare l'approccio
umanistico come antitetico a quello scientifico, anche se noi tutti
sappiamo che non abbiamo alternative ad un approccio umanistico se
davvero vogliamo indagare se una persona ha una determinata malattia
oppure no, non si può prescindere in tale compito dal rapporto
umano. I nostri pazienti meritano ed hanno bisogno di un approccio
empatico ed una comprensione umana, quindi di una relazione. Sarebbe
un medico pessimo sia colui che per simpatia omette di diagnosticare
una malattia curabile, che quello che diagnostichi per eccesso di
tecnicismo o prudenza, malattie che non ci sono e prescrive farmaci
inutili che danneggeranno più che essere d'aiuto. Quindi la
relazione è il mezzo che ci permette di arrivare alla diagnosi e in
tale compito in psichiatria vale una regola paradossale: ognuno è il
potenziale peggior medico di se stesso se non si affida alle cure
dell'altro.
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